L’intervento del Presidente della Repubblica alla Cerimonia di inaugurazione della Biennale dell’Economia Cooperativa

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Non vi sono più parole adeguate per esprimere l’allarme e l’angoscia per gli incidenti che colpiscono chi sta lavorando, per l’insufficienza della sicurezza per chi lavora.
Le alluvioni, sull’altro versante, stanno colpendo queste terre con una frequenza e una intensità che non si conosceva.
Conseguenza evidente di mutamenti climatici.
Ma i drammi che attraversano migliaia di famiglie sono anche conseguenza di trasformazioni del territorio intervenute da lungo tempo, dal passato.
È necessario un impegno di carattere straordinario che coinvolga istituzioni e società civile, imprese e cittadini e che non sottovaluti l’esigenza di misure rapide di salvaguardia.
Questa apertura della Biennale è l’occasione per sottolineare che la cooperazione, l’impresa solidale, l’economia civile, sono parti qualificanti del nostro modello sociale, fattori di rilievo della ricchezza nazionale per i beni che producono e per il lavoro che offrono.
Con lungimiranza la Costituzione – come veniva rammentato anche nel video che abbiam visto – con l’articolo 45 – diede valore a quel che già apparteneva alla storia del nostro Paese: “La Repubblica – recita – riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata”.
“Riconoscere” significa identificare qualcosa che già esiste.
Il valore di uomini e donne che, insieme, han voluto costruire una componente importante dell’Italia, mettendo in comune le loro attitudini professionali, il loro lavoro, per corrispondere a bisogni presenti nella società.
Mantenere dignitosamente le proprie famiglie, combattendo la disoccupazione e la sottoccupazione, con le cooperative di produzione e lavoro, con quelle agricole.
Permettere la acquisizione di beni di consumo al di fuori di logiche speculative e di accaparramento in tempi difficili.
Promuovere il risparmio e porlo a disposizione della crescita delle comunità.
I Costituenti non si limitarono a ribadire ruolo e importanza della cooperazione nella costruzione di una democrazia economica. Nei loro confronti attribuirono alle istituzioni e alle politiche pubbliche il compito di promuovere e favorire l’“incremento” della cooperazione e, al tempo stesso, di assicurarne “con i controlli opportuni, il carattere e le finalità”.
Sin dal dibattito nella Commissione dei 75 – come sappiamo quella incaricata di redigere il testo della nostra Carta – questi tre elementi sono stati legati da un filo robusto.
Un emendamento presentato il 25 gennaio del 1947 da Emilio Canevari, lo abbiamo appena visto nel filmato, Presidente della Lega nazionale cooperative e mutue, e firmato anche da Togliatti e Aldo Moro, da Mortati, Lussu, Lina Merlin, aprì la strada a quello che poi sarebbe diventato l’articolo 45: “La Repubblica – questo era il testo – riconosce la funzione sociale della cooperazione, ne favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e la sottopone alla vigilanza stabilita per legge”.
Si coglieva, in quel confronto alla Costituente, un’aspirazione profonda: che la cooperazione fosse capace di mantenere nel tempo i suoi valori e i suoi caratteri fondativi per arricchire il tessuto sociale, per conferire pluralità e articolazione all’economia del Paese, finalmente liberata dal giogo dell’autoritarismo e dell’autarchia.
La Costituzione era il progetto per trasformare l’Italia, una volta conquistata la libertà e scelto di procedere sul terreno dei diritti sociali, come parte essenziale della condizione di cittadinanza.
La Carta reca, fortemente impressi, quattro caratteri.
È una Costituzione “lavorista”, sin dal primo articolo.
È una Costituzione “personalista”, con la persona, le formazioni sociali in cui questa si esplica, e con i suoi diritti, come essenza dell’ordinamento.
È una Costituzione “autonomista”, che affida alle autonomie locali, con il criterio della sussidiarietà, la responsabilità di dare risposte ai cittadini.
È una Costituzione “antifascista”, che si fonda sulla lotta di Liberazione, matrice di libertà e democrazia.
Intervenendo nel campo dei rapporti economici, i Costituenti vollero conferire rilevanza alla cooperazione come forma di gestione dell’impresa, in una logica non statalista, bensì di espressione della libertà e della società civile.
Della libertà di donne e uomini che intendevano porre in comune il loro lavoro, il loro risparmio, per corrispondere a bisogni essenziali.
La cooperazione, appunto – elemento di democrazia economica – unisce due valori di grande rilievo costituzionale, il principio di libertà di impresa e il principio di uguaglianza.
Con coraggio, i Costituenti affermarono una visione ampia del sistema economico, respingendo la dicotomia classica impresa privata-impresa pubblica, per aprire alla diffusione del potere economico. Non a caso lo stesso articolo 45, al secondo comma, si occupa delle imprese artigiane.
L’esperienza dei decenni che sono alle nostre spalle ci dice che la visione della cooperazione come impresa residuale – sostanzialmente supporto a economie deboli, ad aree fragili – ha lasciato il posto a un “terzo genere” di impresa fra privata e pubblica, suscettibile di operare – l’Europa lo dimostra – a ogni livello di potenzialità economico.

Cos’è l’economia se non l’organizzazione della risposta ai bisogni della comunità?
A cosa altrimenti servirebbe?
All’impresa cooperativa la Repubblica indica un fine: l’utilità sociale.
All’impresa privata, all’articolo 41, l’utilità sociale è posta, per converso, come limite: non può svolgersi in contrasto con essa.
La disciplina dell’attività economica trova nella nostra Costituzione una declinazione ampia negli articoli da 41 a 46.
Articolo 41: l’iniziativa economica libera come parte essenziale delle libertà.

Articolo 42: la funzione sociale della proprietà privata.
Articolo 43: servizi pubblici essenziali, fonti di energia, condizioni di monopolio: con diritto dello Stato di trasferirle – “a fini di utilità generale” – a sé stesso, oppure “a comunità di lavoratori o di utenti”.
Articolo 44: razionale sfruttamento del suolo e rapporti sociali equi in agricoltura.
Articolo 46: diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende.
Non è questa, la descrizione puntuale di quel che vogliono essere le cooperative?
Di ciò cui ambisce il mondo della cooperazione?
Certo, rimane ancora molta strada da fare, ma la direzione del percorso è senza equivoci.

La coesione sociale passa attraverso criteri che vedono il principio lavorista come premessa, in collegamento con il principio personalista, secondo l’insegnamento di Costantino di Mortati, per il quale il lavoro costituisce espressione della personalità sociale della persona umana.
La riflessione indotta da questo appuntamento della Biennale, indetto dalla Lega delle Cooperative, diventa allora momento prezioso di verifica dell’attualità di questa esperienza e, allo stesso tempo, per progettare il futuro, in un contesto di intensa trasformazione, ce lo ha ricordato il Presidente Gamberini.
La cooperazione, e più in generale l’economia civile, sono davanti a una sfida.

Essere più di un pungolo di qualità per l’intero sistema economico.

Produrre risultati nei diversi campi di attività, che rechino vantaggio al modello sociale.

Questo richiede innovazione, intelligenza, coraggio.

Perché è evidente che il mondo sta correndo e molte modalità del passato sono difficilmente ripetibili.

La modernità e la capacità dell’impresa cooperativa sta anche in queste sue attitudini: di aggiornare le condizioni anche nella capacità di concorrere a rammendare il tessuto sociale.

Di grande significato ed emblematica è l’esperienza delle cooperative che utilizzano le terre e gli immobili confiscati alla mafia.

Esperienze non facili, da sostenere con forza.

Accanto ai valori economici di queste realtà, ancor più grande è certamente la loro portata sociale.

La testimonianza che abbiamo ascoltato, a nome della Geotrans Cooperativa, tocca le coscienze, specialmente laddove rivendica per le cooperative il ruolo di “motori di cambiamento”.

Le cooperative hanno accompagnato lo sviluppo dell’Italia, conquistandosi spazi proprio nei momenti di crisi, come avvenuto a metà degli anni ‘80, con la legge Marcora.

La cooperazione italiana ha raggiunto, in settori strategici, posizioni di rilievo assoluto.

Vi sono imprese cooperative – come ben sappiamo tutti qui – con fatturati, dipendenti, organizzazioni produttive di dimensioni di grande consistenza.

La cooperazione non vive fuori dal mercato.

Sta nel mercato.

La condizione del reinvestimento degli utili non sottrae l’impresa alla competizione con altri settori, con altri attori e non la sottrae al dovere di progettare.

La progettualità economica e finanziaria è parte della sua vocazione.

Venite – le cooperative – da una lunga storia. Siete parte della storia d’Italia.

Anche questa è una ricchezza.

Storia di sacrifici, di progressi, di cadute drammatiche come avvenne con l’avvento del fascismo, nel segno di una cieca violenza. Lo ha ricordato Fabrizio Galavotti. Violenza che individuò come bersaglio proprio i lavoratori riuniti nelle cooperative.

Per concludere. Motrici di cambiamento, fattori di equilibrio e di inclusione, strumenti di promozione di uguaglianza, elementi del capitale sociale del Paese: il movimento cooperativo, le cooperative, sono protagoniste nella edificazione della Repubblica.

Buon lavoro in questa Biennale.

Auguri per la crescita della cooperazione, nella costante corrispondenza ai suoi valori di solidarietà.

Auguri!

Credits testo e foto: www.ilquirinale.it

 

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